“Vally” ! Bionda ossigenata, formosa, espansiva, con quel suo
accento veneto e con il suo modo di fare aveva saputo conquistare
tutti e farsi stimare. Così Guglielmina Crema, 35enne tenutaria
della casa di tolleranza di via Sant’Antonio n. 9 a Teramo,
conosciuta come “Il Belgio”, le aveva affidato le funzioni di
direttrice. D’altro canto erano venete tutte e due, Gugliemina di
Verona, e “Vally” di Padova. “Vally” aveva mostrato di meritare la
fiducia che le era stata accordata. Anche quel pomeriggio di
domenica 17 marzo 1929 Gugliemina l’aveva voluta con sé, per farsi
consigliare per alcuni acquisti, lasciando nel postribolo la madre
Ermelinda, tenutaria di una casa a Verona, che si trovava da qualche
giorno ospite della figlia e del genero Olindo Gerbin. C’era una
sola ragazza a disposizione dei clienti, la “bolognese” (Alda
Manfredini, 26enne di Carpi), perché l’altra, la “tedesca” era a
letto, influenzata. C’era anche l’inserviente, Elisa Di Nicola, di
Antonio, anni 38, detta “Tanganìlle”. Tutte e tre avevano avuto il
loro da fare per cacciare dal postribolo un uomo sulla cinquantina,
apparentemente ubriaco, che insisteva nel voler entrare, ma poi,
invece di andare in camera, si limitava ad inveire contro la
“bolognese” dicendo che era brutta e infischiandosene del fatto che
Ermelinda le spiegasse che per ora era solo lei disponibile.
Poco dopo il ritorno nel
postribolo di Guglielmina e di “Vally”, avevano bussato alla porta
due soldati, Marino Grassetti, 22 anni, di Ascoli, e Giacomo Torti,
23 anni, di Spello (Perugia). Approfittando del fatto che la porta
era stata aperta, l’uomo che era stato in precedenza cacciato più
volte, si era infilato nuovamente su per le scale, dietro ai
soldati. Appena entrato, ricominciò nuovamente, molto agitato, ad
inveire contro la “bolognese” e contro “Tanganille”. “Io sto qui
finché mi pare” – gridava l’uomo, sbraitando contro le donne che
cercavano di convincerlo ad uscire. “I miei soldi sono buoni come
quelli degli altri !” – disse, rivolto alla tenutaria che lo
spingeva. Poi aggiunse: “Noi siamo camorristi e se non la finisci ti
do una coltellata.” Fu allora che intervenne “Vally”. Lo prese per
un braccio e cercò di convincerlo con le buone ad uscire. Ci sapeva
fare la “Vally”.
Gli parlava con tono
mellifluo e gli diceva “Hai sicuramente moglie e figli. Torna a casa
da tua moglie.” Lo aveva accompagnato, tenendolo sottobraccio, fuori
del postribolo, quasi fino alla casa dell’Avv. Antonio De Benedictis,
quando all’improvviso l’uomo si voltò e colpì al ventre la povera
“Vally” con una sola, tremenda coltellata, poi fuggì. “Vally”,
barcollando e con le mani sul ventre, che sanguinava
abbondantemente, rientrò nel postribolo mormorando: “Ha il
coltello…Ha il coltello”. Poi stramazzò al suolo. Poco dopo fu
accompagnata in condizioni gravissime all’ospedale.
I due soldati, che
avevano assistito impotenti alla scena, fecero un giro per le vie
della città alla ricerca dell’uomo ed entrarono nell’osteria di
Splendora Crescenti, vedova Cesti, in via del Municipio. L’uomo che
avevano visto fuggire era lì, stava mangiando e bevendo del vino. Il
Grassetti restò di guardia fuori la porta e il Torti andò a cercare
le guardie. In Piazza Vittorio Emanuele vide i carabinieri Vito
Mancino e Francesco Argento e li avvertì di quanto era successo e di
dove si trovasse il feritore. Quando i due carabinieri entrarono
nell’osteria della Cesti, il feritore gettò il coltello sotto il
tavolo. Ma i carabinieri notarono il gesto e sequestrarono l’arma.
L’uomo negò di aver ferito una donna, pur ammettendo di essersi
recato nella casa di tolleranza, e perfino di aver tentato di
disfarsi del coltello che non volle riconoscere come proprio. Venne
portato in Caserma (disse ai carabinieri “Vengo, vengo… che sono un
mascalzone ?”) e identificato: era Enrico Pirocchi, di Evangelista e
di Pompeo Antonietta, nato a Miano, di anni 46, carrettiere,
coniugato con Cianci Maria Giuseppa, padre di una figlia, altra
volta condannato.
Intanto le condizioni
della povera “Vally” peggiorarono sempre di più, nonostante due
interventi chirurgici e le cure del Dott. Cermenati. Il 31 marzo, il
giorno di Pasqua, “Vally” morì nella sua stanzetta d’ospedale. Al
Giudice Istruttore Antonio Vigorita aveva potuto dire solo poche
parole, rivelando di chiamarsi Saretta Graziosa, di avere 28 anni e
di essere nata a Vigodarzere di Padova. Quando fu trovata la
sorella, Cesira, si vide che stava a Padova e lavorava in una
tabaccheria che si trovava (scherzi del destino) in Via S. Antonio.
E così il padre di Saretta, che sapeva solo che la figlia si era
allontanata di casa per andare a convivere con un uomo, scoprì di
avere due figlie che stavano in due città diverse, Padova e Teramo,
tutte e due in Via S. Antonio, ma la prima in una tabaccheria e la
seconda in una casa di tolleranza. Gugliemina Crema, la tenutaria
del postribolo, scrisse a Cesira un paio di lettere, dicendole che
il “triste fatto” non era stato riportato da alcun giornale, che la
sorella Saretta stava sì in un postribolo, ma non faceva la vita,
sia per le ragioni del suo impiego di direttrice, sia per la sua
serietà, per la quale era da tutti ammirata. Aggiunse che Saretta,
durante la degenza, era stata in una stanza a pagamento, circondata
dalle migliori cure, vegliata giorno e notte. “Prima di morire nulla
potè dire, solo con un filo di voce chiamava la mamma” scrisse
ancora la Crema, e concludeva la seconda lettera con queste parole:
“Non dubiti signora, perché la sua povera sorella non è stata
abbandonata. Sono stata già due volte al cimitero per pregare e
deporre fiori sulla tomba”.
La Corte d’Assise di
Teramo il 5 novembre 1930 riconobbe Enrico Pirocchi colpevole di
omicidio preterintenzionale con l’attenuante dell’ubriachezza e lo
condannò alla pena di anni 6, mesi 3 e giorni 20 di reclusione.
Contro la sentenza il suo
avvocato difensore, Arturo Massignani, presentò ricorso in
Cassazione per eccessività di pena. Il ricorso venne rigettato il 25
gennaio 1932. Nel novembre di quello stesso anno un decreto di
indulto consentì di dichiarare estinta per amnistia la
contravvenzione per porto di coltello e il residuo di pena fu
condonato. Così nel gennaio del 1933 Enrico Pirocchi, l’uccisore di
Saretta Graziosa, in arte “Vally” fu rimesso in libertà. Nessuno
seppe mai dare notizia certa su chi, periodicamente, si recò per
qualche anno a deporre fiori freschi sulla tomba di “Vally”, Saretta
Graziosa, occhi dolci e capelli ossigenati, che aveva un giorno
lasciato la sua Padova, non sapendo che il destino le serbava una
fine così crudele e che avrebbe perso la vita a Teramo sulla lama di
un coltello. Poi a poco a poco “Vally” fu dimenticata per sempre. |