Le interviste

INTERVISTA CON L’AUTORE di Benito Mascitti*

Elso Simone Serpentini sul suo nuovo giallo teramano:

HANNO AMMAZZATO "COMPARE JABBICCHE"

 

Caro Elso, la tua fortunata collana dei gialli teramani è arrivata al 20° volume. Quando alcuni anni fa uscì il primo volume, pensavi di poter arrivare a questo numero?

 

Lo speravo, ma non ne ero sicuro. Sono contento di esserci arrivato e spero di poter proseguire. Ho ancora tante storie da raccontare.

 

Ogni tuo volume, nel ricostruire le fasi di un fatto di sangue e del successivo processo, trattano di un particolare tema: nel penultimo quello delle condizioni di vita della nostra campagna, dove negli anni cinquanta esistevano ancora i padri padroni; in precedenza avevi trattati temi come l’emigrazione in America, la gelosia di mariti traditi che uccidevano le mogli o i loro amanti e quella di mariti traditi che venivano uccisi dalle loro mogli e dai loro amanti,  l’odio politico e tanti altri. Ogni volume ci porta in una particolare epoca e in un particolare contesto sociale, in una data area della nostra provincia: Atri, Mosciano, Bellante, Teramo, Valle Castellana, Cortino. Questa volta dove ci porti con il tuo racconto?

 

 

  A Torricella Sicura, a cavallo degli anni dieci e degli anni venti, quando, nello spazio di tre anni, dal 1918 al 1922, nella piazza centrale del paese, si verificarono due delitti che fecero molta impressione. Tanto che l’anno successivo, nel 1923, Torricella fu uno dei primi comuni del teramano ad avere una caserma dei carabinieri.

Ci puoi accennare a questi casi?

Si tratta di due delitti, come li chiamo io, “di cantina”. Sono omicidi che si verificano all’improvviso, come lo scoppio di un temporale, tra avventori di cantine, e a quell’epoca a Torricella ce n’erano tante e tutte assai frequentate, favoriti certamente dall’alcol e dalle rivalità nel gioco, dal particolare clima che si determina tra giocatori di carte soprattutto nel momento cruciale della “passatella”. Ma sono omicidi che maturano lentamente, si sedimentano su rivalità pregresse,  odii a volte profondi, si nutrono di rivendicazioni, di frustrazioni sociale, di antipatie personali, a volte di vecchie contese e faide familiari. In alcuni casi, come in questi due delitti di Torricella, siamo in presenza anche di un altro fattore: uno scontro generazionale tra chi ha dettato legge in un paese dove per farsi giustizia non sempre si ricorre alla legge e chi vuole prendere il suo posto nel ruolo di giustiziere e dominatore.

 

Andiamo nello specifico. Senza entrare troppo nella trama dei racconti, per non privarci del gusto della scoperta pagina per pagina, puoi dirci almeno chi uccise chi e perché?

 

Il primo omicidio, ma i due casi si intrecciano, perché molti dei protagonisti delle due vicende sono gli stessi, essendo Torricella un paese molto piccolo, si verificò nel pomeriggio di venerdì 26 aprile 1918. Achille Testone, emigrato in America e tornato senza aver fatto fortuna, ma pieno di amarezze e di risentimenti, stava giocando a carte in una cantina di Torricella Sicura. Dopo aver perso tre partite su cinque, pagò la sua parte e restò a lungo muto, com'era suo costume quando perdeva. Poi, sempre senza parlare, uscì dalla cantina e rientrò nella sua bottega di calzolaio. Disse ai suoi garzoni che potevano tornare a casa. Quella sera il lavoro era finito. Poi prese da uno scaffale un trincetto e si precipitò in strada, gridando come un ossesso: “Morte a tutti!”. Uccise il malcapitato parroco del paese, sventrandolo con il suo trincetto, poi esplose due colpi di rivoltella, mancandolo, contro un impiegato comunale che inseguì, pistola in pugno, nella sua corsa a perdifiato per scampare alla sua furia omicida, per fortuna senza raggiungerlo, poi, tornando verso casa sua, incontrò un altro paesano, con cui forse aveva antichi rancori, e gli sparò, colpendolo per fortuna non mortalmente. Poi si diede alla latitanza.

 

Torricella Sicura (Teramo). Come si presenta oggi la piazza in cui avvennero l'omicidio di Don Nicola Pompei e quello di Valerio Silverii.

 

Lista dei passeggeri del vapore sul quale Achille Testone viaggiò per emigrare in America.

 

Il secondo caso?

 

Nel pomeriggio di giovedì 19 gennaio 1922  Pasquale Fieramosca Curini si avvicinò al tavolo dove Valerio Silverii, conosciuto come "Jabbìcche", stava giocando a carte in un’altra cantina di Torricella,  e cominciò a provocarlo pesantemente. Era una sfida tra due mentalità, tra due generazioni,  una sfida che si rivelò mortale.  Non passò molto che "Jabbìcche" uscì sulla piazza e poco dopo arrivò Curini. Poi si udì uno scalpitio, un chiasso, e qualche minuto dopo in paese  tutta la gente prese a gridare: “Hanno ammazzato compare "Jabbìcche"!”

 

Da qui il titolo del libro, che richiama il “Hanno ammazzato compare Turiddu”.

 

Sì, mi sono ispirato e richiamato a quel titolo, perché anche in questi delitti di Torricella, specie nel secondo, sono presenti aspetti del duello rusticano così bene illustrati nella vicenda immortalata da Pietro Mascagni su libretto tratto da un’opera di Verga. Anzi, dò un consiglio ai lettori, quello di leggere il mio libro ascoltando l’opera di Mascagni

 

Interessante. Dunque, dal libro viene fuori una ricostruzione della Torricella di allora, è una specie di foto “ingiallita”, con riferimento anche al giallo delle due vicende.

 

Mi piace il gioco di parole e concordo con l’osservazione. Ci sono altri due aspetti che segnalo. Il primo: i due omicidi hanno un altro elemento in comune. Entrambi i responsabili furono ricoverati in manicomio, perché sottoposti a perizie psichiatriche, e tutti e due furono presi per dei simulatori. Secondo i periti, quelli di accusa almeno, fingevano di essere pazzi, ma non lo erano.

 

E il secondo aspetto?

 

Per il secondo omicidio, rimase e rimane tuttora un interrogativo, che il processo non chiarì. Curini aggredì a colpi di coltello Jabbìcche, che non riuscì a difendersi. Eppure aveva un tasca una rivoltella, perché non riuscì a liberare le mani dalla mantellina in cui era avvolto. Eppure il suo uccisore rimase anch’egli gravemente ferito e scampò per poco alla morte. Come mai? Chi lo feri? Anche Jabbìcche aveva un coltello? E riuscì a ferire con quello il suo assalitore? Ma tutti i testimoni dissero che non era riuscito a liberare le mani… Tutti meno uno… che disse… Ma questo lo lascio scoprire ai lettori.

 

Ai quali non ci resta che augurare buona lettura. E magari dare un cenno sul prossimo volume, il 21°.  Dove ci porterai e in quale epoca? Trattando quale tema?

 

Porterò il lettore sul finire della prima guerra mondiale, quando, dopo la disfatta di Caporetto, moltissime profughe venete e friulane, quasi tutte donne, lasciarono le loro terre, invase dal nemico austro-ungarico, e arrivarono anche qui da noi. A Rosburgo, come si chiamava allora Roseto, e a Giulianova, alcune di esse furono coinvolte in due delitti, che fecero anch’essi molta impressione all’epoca.

 

Quale sarà il titolo?

 

“La casa delle profughe.”

Benito Mascitti

   

*L'intervista è stata pubblicata su "La Città" di mercoledì 3 novembre 2010, a pagina 13.

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