L'arresto di Giovanni Pepe

 

La sera di domenica 2 maggio 1909 Giovanni Pepe, di Nicola, di anni 27, insieme col suo amico Silvio Vignola, orefice, si trovava a passeggiare nei pressi di Porta Reale, a Teramo. Nei pressi della farmacia Tosi scorse due giovani che si stavano malmenando tra loro. Era incerto sul da farsi, sorpreso e meravigliato, quando il professore di musica Righetti, di passaggio anche lui, lo pregò di accorrere presso quei giovani e di tentare di separarli bonariamente. Così sia lui che Vignola si avvicinarono ai due contendenti. Il più grosso era anche il più forsennato nel colpire l’altro, sul quale si avventava con pugni e calci in modo barbaro.  

      Due agenti di città, Attilio Iezzi, di Giovanni, di anni 26, nato a Chieti, e Giuseppe Scarica, verso le 21,15 di quella stessa sera si trovavano di servizio lungo Corso San Giorgio quando, nei pressi del Caffè Polce, incontrarono Giovanni Lovito, usciere della Prefettura, e si misero a discorrere con lui. Poco dopo sopraggiunse Giovanni Pepe, il quale si rivolse a Lovito e gli disse:

     “Don Giovanni, domani debbo andare dal Prefetto per reclamare contro le guardie di città, che stanno sempre nelle osterie. E posso provarlo. Questa sera a Corso di Porta Reale mi sono trovato in mezzo ad una rissa e poco è mancato che non sono stato accoppato. E questo perché non si vede mai una guardia”.

 

 

      “Chi è questo tipo?” chiese la guardia Giuseppe Scarica, che non conosceva Giovanni Pepe.

      “Sono il figlio di un maggiore, ora defunto” rispose Pepe.

      Ma Iezzi spiegò, rivolto al suo collega: “E’ un pregiudicato uscito da poco dal carcere.

      In effetti il giovane Pepe era stato condannato dal Tribunale di Teramo il 17 agosto 1907 a un anno e tre mesi di carcere e a 116 lire di multa per falso e truffa ed era stato sottoposto ad altri tre procedimenti penali con l’accusa di furto.

      “Ti sembra questo il modo di parlare a due guardie?” chiese a quel punto Iezzi, rivolto a Pepe. “E poi, visto che è evidente che sei ubriaco, fai meglio ad allontanarti”.

      Pepe si allontanò, ma borbottando:

      “Ce la vedremo!”

      Le due guardie fecero rapporto sull’accaduto, denunciando Pepe ubriachezza molesta, e per oltraggio con minacce a due guardie di città. Ma al Procuratore del Re, al quale la denuncia venne inviata il 5 maggio, si era già rivolto il giorno 4 lo stesso Pepe, raccontando quanto era avvenuto nei pressi di Porta Reale, la rissa tra due persone che aveva cercato di far cessare e nella quale era stato coinvolto con suo pericolo personale, e lamentandosi del comportamento delle due guardie.

      Alle 9 della mattina del successivo 18 maggio si ritrovarono davanti al Pretore Fedele De Paulis tutti i protagonisti della vicenda, Pepe, le due guardie, l’usciere di prefettura Lovito, Silvio Vignola, orefice, e Idoaldo Battelli, chiamati a deporre sull’accaduto.

      Giovanni Pepe riferì che non aveva oltraggiato le due guardie, che anzi nei suoi confronti si erano comportate male, ma ammise di essere, “forse”, ubriaco quella sera. Ma aggiunse che la guardia Iezzi lo aveva chiamato “delinquente” e perciò si riteneva ingiuriato.

      La guardia Attilio Iezzi, 26enne, nativo di Chieti, confermò il suo rapporto e le sue accuse a carico di Pepe. Spiegò che aveva fornito al suo collega Scarica sui precedenti penali di Pepe non con l’intento di ingiuriare il giovane, ma di con quello di spiegare al collega chi fosse e di invitarlo a non dargli retta. Anche Giuseppe Scarica confermò il rapporto e spiegò che aveva chiesto al collega Iezzi, più pratico della città, chi fosse quel giovane che si era rivolto a loro con modi piuttosto arroganti ed evidentemente ubriaco. Iezzi gli aveva spiegato chi fosse, citando i suoi precedenti penali solo per inquadrare il personaggio e invitarlo a non tener conto di quello che diceva. Negò che Iezzi avesse chiamato Pepe “delinquente”. Dichiarò che non intendeva sporgere querela contro Pepe.

      Giovanni Lovito, 55enne, usciere di Prefettura, dichiarò che stava passeggiando la sera del 2 maggio insieme con le guardie di città Iezzi e Scarica, quando si era avvicinato Giovanni Pepe e gli aveva riferito di essere stato coinvolto in una rissa tra due persone, che aveva cercato di separare, e si era lamentato del fatto che queste cose accadessero perché in giro non si vedeva mai una guardia, perché le guardie se ne stavano sempre in cantina o in osteria. Lovito riferì ancora che la guardia Scarica aveva chiesto al collega chi fosse quel giovane e il collega glielo aveva detto, dicendo che era uscito da poco dal carcere, ma senza usare la parola “delinquente”. Invitato ad allontanarsi, Pepe lo aveva fatto, dicendo: “Domani ce la vedremo”.

      Silvio Vignola dichiarò che era presente anche lui all’incontro tra le due guardie di città e il suo amico Giovanni Pepe. La sua versione dei fatti risultò diversa da quelle delle due guardie e dell’usciere Lovito. Lui era distante un paio di passi, ma aveva sentito benissimo che la guardia Iezzi aveva detto al collega: “E’ un pregiudicato e un delinquente uscito da poco di galera”. Pepe aveva risposto: “Sono un pregiudicato, va bene”. Vignola negò che Pepe quella sera fosse ubriaco.

      Idoaldo Battelli, 24enne, riferì che la sera del 2 maggio nei pressi del Caffè Polce, lungo il Corso San Giorgio, aveva visto parlare tra di loro due guardie di città e Giovanni Pepe. Si trovavad una certa distanza, perciò non aveva sentito di cosa parlassero, però, ad un certo punto, aveva sentito una delle guardie dire all’altra: “E’ un delinquente, è un pregiudicato”. Pepe aveva risposto: “Va bene, sono un delinquente” e si era allontanato.

      Il 26 maggio il Pretore De Paulis trasmise gli atti al Procuratore del Re di Teramo. Due giorni dopo, il 28 maggio, il Sostituto Procuratore, ritenuti sufficienti gli indizi di reità a carico di Giovanni Pepe, ne chiese il rinvio a giudizio davanti al Pretore di Teramo per oltraggio con minaccia. Chiese anche il non luogo a procedere nei confronti della guardia Iezzi per ingiuria per inesistenza del reato.

      Il 30 maggio il giudice istruttore Raffaele Ranieri dichiarò il non luogo a procedere sia nei confronti di Pepe sia nei confronti di Iezzi. Non era risultato provato né che Pepe avesse detto che le guardie si città stavano sempre nelle cantine e nelle osterie né che la guardia Iezzi avesse pronunciato la parola “delinquente”. Ma, anche se fosse risultato provato, non sarebbero ugualmente sussistiti né il reato di oltraggio attribuito a Pepe (perché avrebbe alluso alle guardie in genere non specificamente alle due guardie con le quali stava parlando) né il reato di ingiuria attribuito alla guardia Iezzi (perché aveva solo inteso informare il collega sul fatto che Pepe, pur essendo figlio di un maggiore, come diceva, aveva dei precedenti penali, come era risultato provato). Quanto all’espressione “Ce la vedremo” pronunciata da Pepe, essa non poteva essere interpretata come una minaccia, perché era evidente che essa preannunciava un ricorso al prefetto e una querela per ingiuria. I testimoni avevano dichiarato che Pepe non era ubriaco e anche Lovito aveva detto che era soltanto “brillo”.

      La vicenda si concluse con un nulla di fatto. Ma per qualche giorno i teramani si divertirono a raccontarsi l’un l’altro e a commentare quanto era accaduto. Qualcuno, maliziosamente, disse che da qualche tempo di guardie di città non se n’era vista più una né nelle cantine né nelle osterie. Ma qualcun altro aggiunse che non se ne vedevano troppo spesso nemmeno per le strade.

 

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