I Pardi in Tribunale

 

 

Il 30 luglio 1944 la 42enne Iolanda Pardi, fu Antonio, venne visitata dal dott. Antonio Panza, che le riscontrò una lieve tumefazione al labbro superiore guaribile in 4 giorni. Il referto medico venne trasmesso all’autorità giudiziaria il successivo 11 agosto dai Carabinieri di Castelli, con una relazione nella quale si diceva che la Pardi aveva riportato la tumefazione nel corso di una discussione avuta con il fratello Manlio, di anni 32. Nei confronti di quest’ultima venne avviata un’istruttoria penale che si concluse con un rinvio a giudizio davanti a Tribunale di Teramo con l’accusa di lesioni personali.

            Il Tribunale di Teramo, presieduto da Giovanni Sorge e composto da Angelo Mancini e Mario Franchi,  si occupò del fatto il 17 giugno 1946, in contumacia dell’imputato. Esaminati gli atti e dopo un orale pubblico dibattimento, il collegio giudicante concluse che le lesioni riportate da Iolanda Pardi non erano state conseguenza del fatto doloso dell’imputato, che aveva colpito la sorella nel corso della discussione del tutto involontariamente, mentre gesticolava in maniera scomposta.

    Questa tesi, sostenuta dall’imputato, coincideva con la versione della sorella, che nella sua deposizione non aveva voluto “gravare la mano sul fratello”, con il quale dopo la discussione si era riconciliata. Si poteva avere il dubbio che la donna avesse fornito una versione di comodo, per alleggerire la posizione del fratello, ma non si poteva escludere del tutto che le cose fosser davvero andate come riferito sia dall’imputato che dalla parte lesa. Trattandosi quindi di lesioni non volontarie, ma colpose, e in mancanza di querela, il Tribunale dichiarò il non luogo a procedere perché l’azione penale non avrebbe dovuto nemmeno essere iniziata.

     I Pardi furono coinvolti in un altro fatto di cronaca che li portò in Tribunale. Nel loro rapporto del 29 dicembre 1944 i carabinieri di Castelli scrivevano che il giorno innanzi Idalgo Pardi, fu Antonio, era venuto a diverbio con Giuseppe Di Carlo, fu Biagio, e il figlio di quest’ultimo, Bruno, intervenuto nella discussione. Ad un certo punto, Bruno aveva colpito Pardi con un pugno al viso. Dal referto medico del dott. Linneo Di Giuseppe, risultava che Pardi aveva riportato la perdita di due incisivi superiori e la lussazione di altri tre incisivi inferiori e un’ecchimosi al labbro superiore.

     Idalgo Pardi presentò una querela contro Bruno Di Carlo il 28 marzo 1945, due giorni dopo che Giuseppe Di Carlo aveva presentato una querela contro di lui, accusandolo di averlo ingiuriato. L’istruttoria che seguì portò al rinvio al giudizio davanti al Tribunale di Teramo di entrambi i querelati, di Pardi per avere, in presenza di più persone, offeso l’onore di Giuseppe Di Carlo accusandolo di “ladrocinio”, per avere venduto l’olio a 500 lire il litro, di Bruno Di Carlo per avere, con un pugno alla colpa, causato ad Idalgo Pardi la perdita di due incisivi superiori e di tre incisivi inferiori e una malattia guarita in un mese, con conseguente indebolimento permanente dell’organo della masticazione, successivo ad un indebolimento preesistente.

     La perizia del dott. Di Giuseppe aveva accertato che Pardi presentava una piorrea alveolare e una gengivite che avevano provocato quell’indebolimento, e non avevano alcuna relazione con il trauma causato dal pugno e con lussazione, che dipendevano esclusivamente da una patologia naturale ed erano causate da una malattia dell’apparato masticativo. Dalla bocca di Idalgo Pardi mancavano oltre denti, di cui sette nell’arcata superiore e tre in quella inferiore. La piorrea era da sola sufficiente a determinare la persistenza della lussazione dei due denti, che altrimenti sarebbe completamente guarita, come per il terzo dente, entro un mese.

     Il Tribunale Penale di Teramo, presieduto da Giovanni Sorge e composto da Salvatore Russo e Ignazio D’Ignazio, trattò entrambe le querele l’11 luglio 1946. Esaminò tutte le circostanze al fine di determinare se si dovesse contestare all’imputato Bruno Di Carlo il reato di lesioni personali gravi, ai sensi dell’art. 583 paragrafo 2 del Codice Penale o di semplici lesioni. Argomentò che anche la caduta di un solo dente costituiva un indebolimento permanente dell’organo della masticazione, pur tuttavia non si poteva non tener conto delle condizioni dell’apparato dentario del Pardi e del fatto che egli avesse perso antecedentemente e successivamente al fatto di causa altri denti per altra causa, patologica e non per evento traumatico. Perciò il suo apparato dentario era già notevolmente indebolito quando era stato colpito da un pugno e la perdita di altri due incisivi non aveva portato ad un ulteriore apprezzabile indebolimento.

    Sulla base di queste considerazioni, il collegio giudicante escluse l’aggravante e riconobbe che il reato dell’imputato era di lesione personale semplice, guarita entro i 40 giorni, che rientrava nell’amnistia concessa dal decreto presidenziale 22 giugno 1946 n. 4. Per l’applicazione del beneficio, non ostavano i precedenti dell’imputato, che erano buoni.

    Anche il reato di ingiuria di cui era accusato Idalgo Pardi rientrava nel beneficio dell’amnistia, pertanto il Tribunale sentenziò la concessione dell’amnistia per entrambi gli imputati.

    Contro la sentenza, Idalgo Pardi presentò ricorso in Appello, e il 6 dicembre 1950 la Corte d’Appello dell’Aquila riformò la sentenza del Tribunale di Teramo e condannò Bruno Di Carlo a due anni di reclusione, dichiarando però condonata la pena. La sentenza passò in giudicato il successivo 25 dicembre 1950.