Il viottolo maledetto

 

Alle ore 10 di lunedì 24 maggio 1920 il vice brigadiere a cavallo Guglielmo Santini e il carabiniere a piedi Luigi Luciani della stazione di Penne furono informati che nel comune di Castilenti si era verificato un grave ferimento. Partiti subito per Castilenti, arrivarono alle 14 sul luogo dove si diceva che il ferimento fosse avvenuto.

Le primi indagini consentirono ai accertare che la sera precedente, verso le 18, il 15enne Giuseppe Leone, mentre conduceva al pascolo le sue pecore in località Piano Cerreto, diretto verso un terreno di sua proprietà, si era trovato a passare lungo un viottolo adiacente ad un terreno di proprietà del 69enne Silvio Massaro, di ignoti, ex cantoniere ora a riposo, dal quale era separato da una siepe. Massaro, trovandosi sul posto,  aveva intimato al giovane di non passare più con il suo gregge lungo quel viottolo, perché in più occasioni, passandovi, aveva danneggiato la siepe di sua proprietà. Lo aveva anche minacciato con una falce per tagliare l’erba e lo aveva costretto a tornare indietro.

Il giovane, tornato a casa, aveva riferito le minacce ricevute al padre, il 38enne Antonio Leone, fu Giuseppe e di Capanna Elisabetta. Antonio, sentito il racconto del figlio, insieme con lui e con le pecore tornò sul luogo dove si trovava Massaro, al quale disse che aveva fatto male a minacciare suo figlio, perché il viottolo era pubblico e qualsiasi danno le pecore avessero potuto arrecare alla sua siepe, sarebbe stato risarcito. Si era poi avviato con le pecore verso il suo terreno, dove aveva lasciato il gregge, custodito dal figlio Giuseppe, e, tornando indietro, si era diretto verso casa sua.

Nel tragitto,  a non molta distanza dalla casa di tale Francesco Ciccarelli, aveva nuovamente incontrato Massaro, che dava l’impressione di starlo ad aspettare, ed era nata con lui una discussione sempre più animata, sfociata in una colluttazione. Massaro ad un certo punto era caduto in un cespuglio che si trovava nei pressi di un canale d’acqua, la falce gli era sfuggita di mano e gli era caduta nell’acqua. Si era rialzato e, essendo leggermente ferito, si era messo a correre in direzione della casa di Francesco Ciccarelli, pensando di potervisi rifugiare. Antonio Leone, però, aveva dato di mano ad un palo che si trovava conficcato sul terreno e che aveva divelto, e con quello aveva colpito più volte alla testa il Massaro, producendogli ferite assai gravi, tanto che il poveretto, trasportato a casa sua, correva pericolo di vita. Intorno alle 16, mentre i carabinieri cercavano la falce che gli era caduta nel vicino corso d’acqua, cessò di vivere. La falce fu poi effettivamente trovata dal carabiniere Cesidio Riccitelli e dalla guardia municipale Luigi Cilli. 

            I carabinieri accertarono che erano stati testimoni oculari del ferimento mortale Francesco Ciccarelli, fu Bartolomeo, di anni 69, suo fratello Giustino, di anni 62, Antonio Ciccarelli, fu Nicola, di anni 45, tutti e tre contadini; Pasquale Romanelli, fu Giuseppe, di anni 27, possidente; Vittoria Di Michele, fu Domenico, di anni 65, contadina; Giovanna Bellisario Scatenati, fu Natale, di anni 60, tutti residenti a Castilenti. Solo un altro teste, Domenico Bellissario, fu Massimantonio, di anni 64, contadino di Castilenti, dichiarò di aver visto nelle mani di Antonio Leone un coltello, mentre Francesco Ciccarelli cercava di allontanarlo dal luogo dove si stava colluttando con Massaro.

Altre indagini consentirono ai carabinieri di appurare che il viottolo lungo il quale stava passando con le sue pecore Leone era percorso normalmente da tutti i viandanti, anche da quanti erano soliti dirigersi verso le fiere dei comuni limitrofi. Pertanto l’imposizione fatta da Massaro a Leone di non passarvi era considerata ingiusta e immotivata, salvo a considerare pregressi rancori tra i due. Massaro era stato sempre considerato da tutti individuo puntiglioso, prepotente, aduso alle risse, tanto che in numerose circostanze aveva riportato ferite e lesioni in varie parti del corpo da persone diverse con bastoni, coltelli e altri oggetti. Il cadavere di Massaro fu trasportato nel cimitero di Castilenti e rimase a disposizione dell’autorità giudiziaria.

            Antonio Leone si costituì nel carcere di Teramo il 25 maggio. Il giorno successivo, 26 maggio, fu interrogato dal Giudice Istruttore Antonio Vigorita. Attribuì tutte le responsabilità dell’accaduto a Silvio Massaro, sostenendo che lui si era solo difeso.

Il successivo 29 maggio il Giudice Istruttore del Tribunale di Teramo, Antonio Vigorita, raccolse la deposizione del carabiniere Cesidio Riccitelli, di Angelo, di anni 20, nato a Catignano, il quale riferì che, trovandosi nel comune di Castilenti perché addetto alla requisizione di cereali, avendo saputo del mortale ferimento, insieme con la guardia municipale Luigi Cilli, si era portato nel luogo dove era avvenuto e, avendo saputo che la vittima del ferimento aveva con sé una falce, che gli era caduta nel vicino corso d’acqua, l’aveva cercata e trovata, proprio di fronte alla casa di Francesco Ciccarelli. L’avevano sequestrata, insieme con il palo con cui Massaro era stato ferito e che era stato rinvenuto sul luogo del ferimento.

            Il 30 maggio il Giudice Vigorita raccolse la deposizione di Giuseppe Leone, il quale riferì le minacce ricevute da Silvio Massaro, l’impedimento a proseguire insieme con le sue pecore, il suo ritorno a casa, e la reazione di suo padre quando aveva saputo dell’accaduto. Erano tornati, lui e il padre, con le pecore dove lui si era incontrato con Massaro, che avevano incontrato di nuovo e che aveva nuovamente tentato di impedire il loro passaggio. Suo padre aveva risposto che il viottolo era pubblico, che ogni danno alla sua siepe sarebbe stato risarcito e lo aveva accompagnato fino al fondo agricolo di loro proprietà, sul quale lo aveva lasciato a custodia delle pecore al pascolo. Suo padre si era diretto verso casa, ma lui non sapeva dire che cosa fosse avvenuto dopo, perché era rimasto con le pecore.

            Lo stesso 30 maggio fu sentita dal Giudice Vigorita la figlia dell’ucciso, Adelina Massaro, di anni 41, sposata con Domenico Bianchini. Dichiarò che, risiedendo ad Atri, non sapeva nulla dei fatti. Si era recata la sera a Castilenti dopo aver saputo del ferimento del padre da parte di Leone. Suo padre era poi morto senza poter dire una sola parola. Riferì di alcuni contrasti tra suo padre e il suo feritore, risalenti a circa un anno prima, sempre per divergenze sui confini tra le rispettive proprietà rurali.

            Il 27enne Pasquale Romanelli, di Castilenti, aveva assistito alla prima parte della lite tra Massaro e Leone e ne ricostruì le fasi principali, ma precisò che nel momento del ferimento egli si trovava ad una cinquantina di passi di distanza e non aveva visto come si era no svolti i fatti. Aveva sentito strillare e poco dopo era stato raggiunto da Leone, il quale gli aveva detto che, minacciato con una falce da Massaro, per salvarsi aveva spezzato un palo da una siepe e aveva colpito l’altro alla testa. Era tornato allora indietro e aveva visto Massaro steso a terra.

            La 60enne Giovanna Scatenati, fu Natale, maritata Belisario, riferì che nel pomeriggio del 23 maggio si trovava sulla loggetta di casa sua, quando all’improvviso aveva sentito una sorella di Antonio Leone, che era matta, gridare frasi incomprensibili. Lì vicino aveva scorto Silvio Massaro e lei gli aveva chiesto se la donna ce l’aveva con lui. Massaro aveva risposto che con una matta non ci si metteva, perciò non le rispondeva. Il 35enne Pasquale Angelozzi, contadino di Castilenti, dichiarò che il viottolo in contestazione era sempre servito come pubblico passaggio e non gli risultava che Silvio Massaro avesse opposto a chicchessia il diritto di passarvi. Analoga dichiarazione fecero  il 46enne Filippo Ciccarelli e il 70enne Candeloro Foschini. Il 46enne Fiorindo Di Michele dichiarò, invece, che Massaro si opponeva al passaggio di estranei su quel viottolo. A lui non aveva mai detto nulla, ma lo aveva detto ai suoi figli.

            Il 5 giugno 1920 contro Antonio Leone, nato a Montefino il 12 luglio 1882, per l’omicidio di Silvio Massaro, nato a Teramo da ignoti e residente a Castilenti fu spiccato mandato di cattura del Giudice Istruttore di Teramo e gli fu notificato in carcere dai Reali Carabinieri.

            Il 22 giugno il Pretore di Atri Tommasino Masci iniziò l’escussione di una serie di testi senza giuramento. La prima fu la contadina Elisa Di Michele, di Francesco, di anni 21. Parlò di antichi contrasti tra l’omicida e la sua vittima e di un colloquio tra Domenico Bianchini, genero di Silvio Massaro, e Antonio Leone, nel quale il primo invitava il secondo ad avere un po’ di riguardo nei confronti del suocero, specie quando c’era lui. Parlarono anche dei dissapori tra Massaro e Leone anche il 45 Raffaele Squartecchia, la 20enne Vincenzetta Di Mattia. Del ferimento, al quale avevano assistito in modo più o meno diretto, parlarono la 70enne Pasqua Di Michele, il 26enne Sabatino Foschini.

            Il processo a carico di Antonio Leone, rinviato a giudizio il 30 luglio 1920,  per l’omicidio di Silvio Massaro dalla Sezione di Accusa dell’Aquila, si concluse il 2 maggio 1922 con la condanna da parte della Corte d’Assise di Teramo, presieduta dal cav. Uff. Rocco Martini (P.M. fu Giovanni Mancini), a sei anni e otto mesi di detenzione per omicidio preterintenzionale, con il beneficio della grave provocazione. La difesa aveva sostenuto la tesi della legittima difesa e in subordine l’eccesso di difesa e la preterintenzionalità con concausa, con il condono di tre mesi.

            Il 16 ottobre 1922 la Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, respinse il ricorso contro la sentenza e confermo la condanna di primo grado. Il successivo 7 maggio 1923 la Procura di Teramo chiese che la Camera di Consiglio del Tribunale dichiarasse condonati altri tre mesi, per l’applicazione dell’indulto del 22 dicembre 1922, per cui la pena complessiva da espiare restava fissata definitivamente ad anni 6 e mesi 2.