Quando fu ucciso "lu fije de Bongrìzie"

    La sera di carnevale del 1910 il 29enne Vincenzo Lanzi, calzolaio, detto "lu fije de Bongrìzie", perché figlio di Pancrazio, il vecchio giardiniere di casa Rozzi, condusse la giovane moglie, Laura Vagnoli, già nutrice in casa dei Signori Cerulli, e i suoi due figlioletti nell'osteria di Federico, in Via del Teatro Vecchio. Aveva voglia di far festa e bere un mezzo litro in onore del carnevale, mangiando qualche cosa in compagnia della sua famiglia.

     Si erano appena seduti, lui, sua moglie e i due piccoli figli, quando da un tavolo vicino si levò una voce:

     - Pure qui vieni a rompere i...

     - Io vado dove mi pare - rispose Vincenzo Lanzi.

      Seguì un acceso battibecco tra "lu fije de Bongrìzie" e colui che lo aveva apostrofato in quella maniera assai poco garbata.

     Si trattava di un giovane, di 19 anni di età, che si chiamava Vincenzo Gaspari, era figlio di genitori ignoti e aveva il soprannome di "lu ruscìtte". Vincenzo Lanzi e Vincenzo Gaspari erano stati un tempo molto amici, poi l'amicizia si era interrotta bruscamente per motivi politici. Alla morte del deputato Carlo De Michetti, erano state indette le elezioni nel collegio di Teramo e si erano fronteggiati come candidati l'Avv. Antonio De Benedictis, poi risultato vincitore ed eletto, e l'Avv. Guido Celli, che era risultato sconfitto. I sostenitori dei due candidati avevano costituito due partiti che si erano contrapposti aspramente. Lanzi aveva parteggiato per De Benedictis, Gaspari per Celli, vedendosi perciò attribuire anche lui il termine spregiativo di "cellarotto".

     Dopo il primo scontro verbale, le reciproche invettive tra i due ex amici nell'osteria di Federico furono particolarmente cattive e non prive di pesanti allusioni. Ad un certo punto la moglie di Lanzi disse con disprezzo a Gaspari, prendendo le difesa del marito:

     - Sta' zitto, mulo !

     Il riferimento oltraggioso al suo stato di figlio di ignoti sembrò accecare dalla rabbia l'offeso, il quale si alzò in piedi e invitò più volte Lanzi e sua moglie ad uscire in strada. I due prima tentarono di esimersi, poi accettarono la sfida e si avviarono verso l'uscita. Erano poco fuori dell'uscio, quasi in strada, quando "lu ruscìtte" si avventò contro di loro e la Vagnoli ricevette un forte calcio alla schiena, che la fece ruzzolare a terra. Il marito corse per soccorrerla e per difenderla e, levatasi che fu la donna, "lu ruscìtte" prese a correre lungo la via che scendeva a Porta Romana, inseguito dal rivale, che aveva la sua bottega da calzolaio proprio nei pressi, accanto alla Chiesa di San Domenico.

     La rincorsa ebbe termine quando l'inseguitore raggiunse e agguantò l'inseguito vicino alla Chiesa. Seguì una baruffa a suon di schiaffi, pugni e calci. Lanzi, ad un certo punto, svincolatosi dal rivale, si rifugiò dentro la sua bottega chiudendo la porta alle sue spalle. "Lu ruscìtte" prese a lanciare dei sassi contro la porta della bottega, senza tentare di entrarvi, forse temendo che l'altro potesse armarsi di qualche roncetto, che doveva sicuramente avere in abbondanza sul suo deschetto per le necessità del suo mestiere.

     Continuando a scagliare sassi, "lu ruscìtte" gridava:

     - Svergognato ! Magnasfaccìmme !

     D'un tratto si vide aprirsi la porta della bottega e comparire, paonazzo in volto, il Lanzi, il quale replicò:

     - Ma sei, tu vagabondo, che mangi alle spalle degli altri !

     Non poté proseguire, perché una tremenda sassata lo colpì con fatale precisione alla testa, facendolo stramazzare a terra. Dalla ferita prese ad uscire a fiotti un'abbondante colata di sangue rosso vivo. Il sangue fuoriusciva abbondante dalla ferita, ma anche dalle orecchie e dal naso, raccogliendosi ben presto in una pozza, accanto al corpo stremato e ansante del ferito. Molte persone accorsero e, vedendo l'orribile spettacolo, gridavano inorriditi. Tutto il quartiere di Porta Romana entrò in uno stato di forte agitazione e dappertutto era un accorrere di gente, sempre più numerosa. Nel trambusto che seguì, tra grida, strepiti e pianti agitati, alcuni volonterosi adagiarono il ferito, che sembrava in gravi condizioni, su una sedia e lo trasportarono a casa sua, che era poco distante. Lanzi fu adagiato sul letto, ma poco dopo morì, senza riprendere conoscenza. Quando arrivò la moglie e poi il vecchio padre dell'assassinato e i due figlioletti oltre ad altri parenti, la casa risuonò di gemiti, di lamenti e di pianti che si succedettero senza fine.

     Accorsero anche i delegati di P.S. Cavallo e Saraceni e, poco dopo, i dottori Pierannunzi ed Olivieri, i quali non poterono che constatare il decesso di Vincenzo Lanzi. Poco dopo il Pretore, assistito dal cancelliere Frisaldi, iniziò le constatazioni di rito. Il cadavere fu vegliato per tutta la notte, fra i ceri accesi, in quella povera stamberga che era stata la sua casa. Tra quanti lo vegliarono, alcune ragazze rimasero in lacrime con ancora addosso i propri costumi di carnevale. Dell'uccisore, che si era dato subito alla fuga, inseguito invano dalla guardia D'Ignazio, si diceva che fosse sfuggito solo per miracolo alla cattura e che si ignorava dove fosse.

     Verso le 22 di quella stessa notte gli agenti Di Livio, Di Giovanni e D'Ignazio, che si erano appostati nel cortile della casa di DomenicoScarponi, dove avevano immaginato che potesse andare a rifugiarsi, si videro arrivare davanti, sgattaiolando nel buio, Vincenzo Gaspari. Questi fu preso, arrestato e tradotto in caserma. Al delegato Saraceni, che lo interrogò, disse che aveva colpito per legittima difesa.

     La commozione di tutti gli abitanti del quartiere di Porta Romana fu ancora più grande quando si venne a sapere che la povera vedova, che restò in lacrime tutta la notte a vegliare la salma del marito, oltre che essere madre di due figlioletti ancora piccoli, era incinta.