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Omicidi a mani nude

 

          E’ da tempo tramontata l’idea lombrosiana che il crimine sia riconducibile alla genetica e ai caratteri somatici dell’individuo. E’ tramontata anche l’idea di una responsabilità sociale nell’atto criminoso, che si ritiene oggi fatto da considerare solo alla luce del comportamento (e conseguentemente della responsabilità) dell’individuo, senza perciò evocare colpe, dirette o indirette, attribuibili alla razza, al colore della pelle, all’etnia o all’appartenenza ad una determinata area regionale. E’ indubitabile, però, che le modalità di un crimine siano correlate a valori non solo individuali, su cui l’antropologia culturale e la criminologia  possono dire qualche cosa di interessante, soprattutto per quanto riguarda gli omicidi e l’arma usata per compierli. Quest’ultima dice molte cose sull’appartenenza dell’omicida ad una certa area culturale, ad un ceto sociale o, in alcuni casi, ad un clan.

          Nella provincia di Teramo l’evoluzione storico-sociale della popolazione è stata caratterizzata da una indubbia specificità dell’arma usata per compiere un omicidio. Ci sono state varie fasi, con determinate differenze per le aree urbane e quelle rurali, succedutesi nel tempo e individuabili con una certa precisione storica. L’uso del veleno, assai spesso quello per topi o anticrittogamici, ha caratterizzato omicidi compiuti da donne e in campagna; l’uso del coltello ha caratterizzato molti omicidi commessi dentro le cantine o nelle loro prossimità nei giorni di sabato e di domenica; l’uso del revolver ha caratterizzato uccisioni commesse da appartenenti al ceto borghese; abbastanza agiato da potersene permettere l’acquisto e la detenzione; l’uso di strumenti agricoli (falci, zappe e bidenti) ha caratterizzato omicidi commessi in ambiente rurale e per lo più determinati da un movente di interesse, spesso familiare.

          Lo strangolamento ha un’alta incidenza di rilevazione negli omicidi passionali e d’impeto e l’uso di oggetti contundenti quali sassi o grosse pietre è stato assai più comune nelle campagne e in aree isolate che non nei centri urbani, nei quali gli oggetti usati, assai spesso, impropriamente, sono stati attrezzi comunemente adibiti a fini lavorativi da appartenenti all’emergente ceto artigianale. E’ da notare che nei tanti omicidi che si sono registrati in questo e nel secolo scorso nella nostra provincia (alla fine dell’ottocento si registravano in media ventidue omicidi l’anno) sono rarissimi gli omicidi definiti “a mani nude” e quasi tutti compiuti mediante strangolamento. Si contano sulle dita di una sola mano gli omicidi definiti anch’essi “a mani nude”, ma in realtà compiuti “a pugni e calci”, che invece sono in crescente aumento nelle nostre aree urbane a forte densità di insediamenti turistici. Essi sono sempre compiuti da gruppi di individui nei confronti di individui isolati, in quelle che impropriamente vengono definite “risse”, ma sono in realtà dei  “pestaggi”.

          Una volta il fenomeno omicidiario definibile come “pestaggio”era legato a scontri di natura politica, sempre riferibile ad aggressioni di gruppi contro uno solo, ma per lo più correlato all’uso di armi improprie, quali bastoni, catene o grosse chiavi inglesi. Oggi sembra intensificarsi la frequenza di omicidi commessi “a mani nude”, e in realtà da definire “a pugni e calci”, commessi da gruppi, quasi sempre clans, senza moventi se non il generico richiamo ai “futili motivi”, ai danni di vittime il cui stato di inermità e la cui inadeguata difesa dalla furia degli aggressori non consentono di parlare di “risse”, come invece spesso si fa. Lo fa spesso fa la magistratura, quando derubrica a omicidio preterinzionale un omicidio la cui volontarietà è invece palese, perché l’intenzione omicida non è estranea agli aggressori nel momento dell’aggressione.

          La giurisprudenza (non si parli di diritto) fa sottili distinzioni in merito, anche perché gli avvocati difensori si affannano subito a voler dimostrare che la morte è stata conseguenza non di un pugno o di un calcio diretto, ma della caduta della vittima, che ha sbattuto la testa da qualche parte. Sottigliezze giuridiche. Mi sembra assai più importante approfondire l’analisi di un fenomeno che nella nostra provincia sta diventando sempre più inquietante e prendere in considerazione anche quelle aggressioni di gruppo, di numero crescente, nel corso delle quali “non ci è scappato il morto”, ai fini della necessaria prevenzione e del miglioramento dei margini di sicurezza.

          12 novembre 2009